A. Ferrando: Gli agenti letterari durante il fascismo

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Titel
Cacciatori di libri. Gli agenti letterari durante il fascismo


Autor(en)
Ferrand,oAnna
Erschienen
Milano 2019: Franco Angeli
Anzahl Seiten
304 S.
von
Sonia Castro

Il volume di Anna Ferrando, recentemente apparso presso la collana “Storia dell’editoria” dell’editore Franco Angeli, ripercorrendo le biografie di Augusto e Luciano Foà, illustra una figura poco nota della storia culturale e politica italiana e internazionale, come quella dell’agente letterario, e contribuisce ad aggiungere un tassello alla ricostruzione della fitta trama di relazioni intessuta nel territorio elvetico durante gli anni della seconda guerra mondiale da politici e intellettuali, che trovarono nei mesi del- l’esilio un’opportunità straordinaria per ripensare il futuro dell’Italia e dell’Europa.

Nel 1938, appena conclusi gli studi in Giurisprudenza e rinunciando a sostenere la prova all’abilitazione forense, Luciano affiancò il padre come cotitolare dell’Agenzia Letteraria Internazionale. Nato da genitori ebrei, Luciano decise di battezzarsi e finì per essere considerato di razza ariana. Sul corso che Luciano Foà riuscirà a imprimere all’ALI, Ferrando riporta alcuni estratti di un’intervista, in cui Luciano afferma: «siccome ero antifascista cercavo sempre delle cose che potessero avere qualche riferimento storico, far vedere com’era nata la rivoluzione inglese per esempio; quelli di storia in genere li offrivo a Einaudi» (p. 115).

Con l’ingresso in guerra dell’Italia, nel giugno del 1940, gli spazi di attività per l’ALI divennero sempre più ristretti, se pensiamo che su un totale di 373 libri stranieri negoziati dall’ALI dal 1940 al 1945 soltanto 84 furono tradotti prima della liberazione. A partire dal marzo del 1942, come scrive la Ferrando, i funzionari del Minculpop inviarono a tutte le prefetture del regno, con l’ordine di farlo avere alle case editrici, un lungo elenco di autori di razza ebraica, banditi dal regime. Un ulteriore perfezionamento della censura avvenne con l’introduzione di una sorta di Quota Agreement, che prevedeva la traduzione e stampa di un libro straniero ogni 4 libri italiani pubblicati.

Provvidenziale per il prosieguo dell’attività di Luciano Foà fu l’incontro con Adriano Olivetti, conosciuto per il tramite di Roberto Bazlen, consulente dell’editore Frassinelli. L’industriale di Ivrea stava, infatti, progettando la fondazione di una nuova casa editrice, Le Nuove edizioni di Ivrea, affinché lavorasse, nella previsione di una non lontana caduta del fascismo.

Foà fu nominato segretario generale della nuova casa editrice e nel breve intervallo tra il 1942 e l’annuncio dell’armistizio da parte del governo Badoglio, l’8 settembre del 1943, fu concepito il volume L’Ordine politico delle comunità, il progetto costituzionale redatto da Olivetti volto a istituire nell’Italia liberata un ordinamento federale interno basato su entità geografiche denominate appunto comunità e che sarebbe giunto alle stampe in Svizzera nel 1945, ancora con la sigla Nuove edizioni di Ivrea.

Con l’annuncio dell’armistizio e il conseguente avvio delle rappresaglie della Wehrmacht, Augusto e Luciano Foà decisero di lasciare l’Italia per cercare rifugio in Svizzera. Entrati dal confine nei pressi di Arzo il 17 settembre 1943, rimasero nel territorio elvetico, nel Ticino prima e poi a Ginevra, fino al 13 luglio del 1945, quando ricevettero l’ordine di ritorno in Italia. Accolti in un campo per rifugiati a Bad Lauterbach, nei pressi di Olten, i Foà furono in seguito liberati grazie all’intercessione di William Rappard, direttore dal 1927 dell’Institut des Hautes Etudes International (HEI) di Ginevra. Il contatto con Rappard, personalità conosciuta e influente nella Confederazione, derivava probabilmente dalla conoscenza dell’economista tedesco Wilhem Röpke, con il quale Luciano era entrato in contatto negli anni precedenti grazie all’attività per l’ALI, e che insegnava presso l’istituto ginevrino.

La battaglia per la libertà della scienza intrapresa dall’HEI in effetti aveva attratto a Ginevra non solo Röpke, ma numerosi altri studiosi costretti a lasciare il proprio paese, come i tedeschi antinazisti Hans Wehber, Ludwig von Mises, illustri antifascisti italiani, come Luigi Einaudi, Carlo Sforza, Gaetano Salvemini, Egidio Reale, e il giurista austriaco Hans Kelsen, solo per citarne alcuni.

Grazie alle indicazioni dei Foà, riuscì a entrare illegalmente nel Canton Ticino anche Adriano Olivetti, l’8 febbraio del 1944. Giunto nel territorio elvetico, Olivetti cercò di diffondere il suo progetto dell’ordine politico delle comunità ed entrò in contatto, insieme a Luciano Foà, con gli esponenti del Movimento federalista europeo, fondato da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli durante il loro confino sull’isola di Ventotene, nel 1942. Dall’autunno del 1943, giunti anche loro in Svizzera, i due federalisti si erano infatti attivati per diffondere il manifesto di Ventotene, il documento programmatico alla base del movimento, tra i rifugiati di ogni nazionalità, nella convinzione che il momento fosse opportuno per progettare una nuova Europa su basi federali, che avrebbe dovuto concretizzarsi dopo la liberazione del continente dal nazifascismo.

Nell’esilio elvetico si consolidarono quindi interessi politici e visioni programmatiche che avevano caratterizzato l’impegno politico di Luciano Foà negli ultimi anni di permanenza in Italia, e che trovavano una stretta comunanza di vedute, oltre che con Adriano Olivetti, con l’ambiente del fuoruscitismo gravitante intorno al Partito d’Azione e al movimento federalista europeo. L’avvicinamento al partito d’azione si deve probabilmente agli anni in cui Luciano frequentò a Milano la Banca Commerciale italiana e Ugo La Malfa, che fu tra i fondatori a Roma del nuovo partito clandestino, nel giugno del 1942. Collocatosi tra i partiti politici italiani ricostituiti in esilio, il Partito d’Azione si presentava come una forza politica nuova, repubblicana, come ricorda la reminiscenza mazziniana del nome, liberaldemocratica, portatrice di un progetto politico basato sugli ideali di giustizia e libertà, di orientamento liberaldemocratico e liberalsocialista, dichiaratamente europeista e federalista sul piano internazionale.

Il lavoro di Anna Ferrando ci consente dunque di allargare lo sguardo sugli anni compresi tra le due guerre in più direzioni: da un lato considerando le dinamiche venutesi a creare nel territorio elvetico durante i mesi della Resistenza in una prospettiva di lungo periodo, che affonda le radici nell’attività sorvegliatissima, e per questo preziosa, di quanti riuscirono a tener fede ai propri ideali con azioni concrete e a misura, confrontandosi di volta in volta con i provvedimenti liberticidi promossi dal regime; dall’altro, il volume conferma l’importanza dell’esperienza dell’esilio in termini di progettualità per la ricostruzione dell’Italia e dell’Europa in un futuro postbellico, non solo in termini di opportunità derivante dalle relazioni interpersonali lì createsi, ma anche per l’influsso che il contesto elvetico ebbe sui progetti editoriali promossi da Luciano. Basti pensare alla pubblicazione delle opere dello psicologo e pedagogista Jean Piaget, che lo stesso Luciano Foà conobbe a Ginevra, al progetto condiviso con Adriano Olivetti sull’Ordine politico delle comunità, alla battaglia europeista e federalista e alle riflessioni sul federalismo interno, condivise con lo stesso Olivetti. Un terzo vettore, infine, è quello che ci conduce nell’immediato dopoguerra con gli sviluppi di iniziative avviate negli anni precedenti, come la creazione delle Nuove edizioni di Comunità, nel 1946, e nel 1961 la nascita della casa editrice Adelphi. (Sonia Castro)

Zitierweise:
Castro, Sonia: Rezension zu: Ferrando, Anna: Cacciatori di libri. Gli agenti letterari durante il fascismo, Milano 2019. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 167, pagine 156-158.

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Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 167, pagine 156-158.

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